I SALA
Ferrandina e la sua storia millenaria - L’epoca arcaica (VIII-VI sec. a.C.)
Nel periodo compreso tra fine VIII e V sec. a.C. (giacché negli orizzonti della I età del Ferro si può invece riscontrare una diffusa omogeneità della cultura materiale) la porzione di territorio compreso nei limiti della moderna Basilicata appare come un mosaico multiculturale di popolazioni indigene, gruppi etnici connotati da una specifica identità culturale. Il racconto delle fonti letterari e l’analisi di alcuni specifici markers archeologici (elementi identitari della cultura materiale) - su tutti la forma del rituale di seppellimento e le produzioni ceramiche locali a decorazione sub-geometrica- consentono di definire la fisionomia culturale dei singoli gruppi indigeni e di circoscriverne le relative aree di occupazione. Le aree nord-occidentali (area del Potentino) e settentrionali (Vulture-Melfese) della Basilicata erano occupate, rispettivamente, dai popoli cosiddetti “Nord-Lucani” e dai Dauni, l’area materana dai Peuceti, la zona centro-meridionale dagli Enotri e quella prospiciente il litorale ionico da una popolazione chiamata dai Greci Chones, mentre sulla costa, tra l’VIII e la metà del V sec. a.C., assistiamo alla fondazione delle poleis greche di Metaponto ed Herakleia.
All’interno di questo variegato quadro insediativo il territorio di Ferrandina, ancora poco conosciuto in letteratura, appare di grandissimo interesse in quanto situato in una zona di confine, una vera e propria “frontiera” culturale, tra i comparti enotrio, peuceta e la fascia sub-costiera ionica, occupata dai Chones almeno fino agli inizi del VII sec. a.C. La cultura materiale attestata, infatti, come hanno anche dimostrato le recentissime campagne di scavo del UniBas-DiSU (settembre 2020), è contraddistinta da una molteplicità di influssi diversi, ivi compreso quello magno-greco. Il sostrato culturale di base, tuttavia, appare riconducibile ad ambito iapigio (necropoli con defunti deposti rannicchiati su di un fianco) e, più specificatamente, peuceta, come mostrano i confronti soprattutto con le produzioni ceramiche a decorazione sub-geometrica dell’area materana e bradanica (Montescaglioso, Miglionico, Timmari, Irsina). Tale documentazione costituisce quindi una novità scientifica di rilievo per questa zona della Basilicata, che rappresenterebbe pertanto l’area di occupazione più meridionale del comparto etno-culturale dei Peuceti, un vero e proprio cuneo territoriale al confine tra mondi culturali diversi.
Il territorio di Ferrandina, nella seconda età del ferro, appare abitato da piccoli nuclei insediativi, ubicati sulle maggiori alture e sulle relative pendici. Un esempio, è offerto dal sito della collina dell’ex Croce Missionaria, attualmente piazza De Gasperi (chiamata comunemente “A’palazz”), ubicata ai margini settentrionali del centro storico della città. Qui, nel novembre del 1966, Dinu Adamesteanu e Dilthey Helmbrecht individuarono i resti di una capanna dell’età del ferro, databile al VII secolo a.C. circa: in base all’indagine stratigrafica si è supposto si trattasse di un’abitazione a pianta circolare con base in pietra, alzato in terra cruda e tetto realizzato con rami e paglia. Nei pressi di quest’ultima furono rinvenute sei sepolture in fossa terragna con il defunto in posizione rannicchiata databili tra l’VIII e il VII secolo a.C., ascrivibili ad una facies iapigia (chonio-peuceta). Resti di capanna sono stati rinvenuti in molti altri siti della Basilicata, come Cancellara, Torre di Satriano, Serra di Vaglio, San Chirico Nuovo, ed è oramai un dato assodato che le prime forme abitative fossero costituite proprio da tali tipi di strutture. Inoltre, in questo periodo, la distinzione topografica dello spazio dei vivi e dei morti non esisteva e gruppi di sepolture si alternano alle capanne dei vivi. Nelle tombe dei Chones, in fossa terragna, il defunto era seppellito in posizione rannicchiata, fetale, e venivano deposti, a seconda della ricchezze e dell’importanza dell’individuo, corredi funerari composti da vasi, oggetti in bronzo come fibule, anelli o bracciali (per le tombe femminili), e in ferro come le armi, punte di lancia, spade (per quelle maschili). Colpisce la presenza, costante e caratteristica, nelle sepolture di entrambi i generi, di una grande olla a decorazione geometrica con un piccolo vaso cantaroide posto all’interno, con la funzione di attingitoio. Probabilmente, tale usanza funeraria aveva un forte significato simbolico-religioso, come d’altronde, la presenza di offerte votive, effettuate nei pressi delle tombe in onore del defunto. In generale, a Ferrandina, e in un po’ tutta la Basilicata, come si evince dalla differenza di ricchezza dei corredi funerari e dalla presenza sempre più abbondante di armi nelle tombe maschili, a partire dalla seconda metà VII queste comunità iniziano strutturarsi ed emergono gruppi dominanti. L’economia di queste popolazioni sembra essersi basata sulle risorse locali come l’agricoltura, l’allevamento e la caccia, mentre, non è da escludere a priori, un’attività legata alla guerra e alla rapina, attività “ammessa” e accettata nel mondo antico.
Molto probabilmente l’insediamento umano di Croce Missionaria della seconda Età del Ferro fu favorito dall’importante posizione geografica del sito: si tratta di un’altura a controllo del Basento ad est e del Cavone-Salandrella ad ovest, ovvero di vallate fluviali corrispondenti ad importanti direttrici viarie, dalla costa ionica a quella tirrenica, occupate entrambe dalle poleis greche (e anche città etrusche su quella tirrenica), e che attraversavano la fascia appenninica lucana. Dello stesso periodo e cultura è il nucleo di tombe scoperto casualmente durante i lavori di costruzione dell’attuale caserma dei Carabinieri, a circa cento metri dall’ex collinetta Croce Missionaria. Tra le sepolture rintracciate, di particolare interesse è la n.1: si tratta di una tomba dal ricco corredo funerario, composto da una notevole quantità di oggetti in bronzo (armille, anelli, bracciali, etc.), che esprime l’elevato status sociale, all’interno della comunità indigena, dell’individuo femminile che vi era sepolto. Un’altra tomba, coeva alle già citate sepolture, rinvenuta negli anni trenta del ‘900 in Via Pisacane, lascia presupporre che anche il quartiere Piana (denominato anche “La Cittadella”, nel quale ricade anche il museo), abbia ospitato un nucleo insediativo indigeno e che i relativi pendii fossero adibiti a necropoli, secondo lo schema verificato in tutti i comparti etno-culturali della Basilicata di questo periodo. Un’ulteriore e inedita necropoli della Tarda Età del Ferro, attualmente in corso di scavo e di studio approfondito, è stata individuata dagli archeologi del progetto “Farch – Ferrandina Archeologica” in località Sant’Antonio, durante la campagna di scavo del 2019.
Le vetrine espongono manufatti di età arcaica rinvenuti negli scavi effettuati da UNIBAS/SSBA nella necropoli di Sant’Antonio.
II SALA e III SALA plus
L’epoca lucana nel territorio di Ferrandina (V-II sec. a.C)
L’origine dei Lucani rimane tutt’ora da definire con precisione nei suoi contorni, ad iniziare dall’etnonimo che molti studiosi farebbero discendere da lucus (bosco) o lykos (lupo). Questa popolazioni che le fonti greche e latine ci dicono di stirpe sannitica, probabilmente scesero dalle aree appenniniche centro-meridionali (attuali Molise, Beneventano e Irpinia) e occuparono le zone della Basilicata (ma anche quelle della Provincia di Salerno meridionale e dell’alta Calabria) in precedenza abitate da popolazioni diverse, inglobandone cultura, ordinamenti sociali e modalità di insediamento e di sfruttamento economico del territorio, all’interno di una nuova entità territoriale, etnica e politico-militare. Tale fenomeno deve essere inteso non tanto come una violenta sovrapposizione dell’elemento sociale e culturale lucano su quello indigeno preesistente, quanto piuttosto come un lungo e graduale “processo dinamico” durato oltre mezzo secolo tra gli ultimi decenni del V sec. a.C., quando i Lucani conquistano le colonie magnogreche di Poseidonia e Laos, e la metà del secolo successivo, quando gli autori antichi parlano dell’avvenuta costituzione della “Megale Leukania” (la Grande Lucania). D’altra parte, dal punto di vista archeologico, è solo con la metà del IV sec. a.C. che si percepiscono distintamente i connotati distintivi della cultura lucana sul territorio della Basilicata. A partire dalla fine del V sec. a.C. essi furono, contemporaneamente, causa ed effetto di uno scenario, caratterizzato da continui conflitti bellici che li videro contrapposti, in uno scacchiere estremamente mutabile, prima contro i Greci delle colonie poi, insieme ad essi, contro le ingerenze romane che si conclusero definitivamente, e tragicamente per loro, nel corso del III sec. a.C..
La lingua dei Lucani era l’osco, espressa graficamente utilizzando le lettere dell’alfabeto greco (nelle ultime fasi anche quelle dell'alfabeto latino). Il loro regime politico era la democrazia e solo in caso di guerra veniva eletto un basileus, un re, tra coloro che ricoprivano cariche pubbliche. Verso la metà del IV sec. a.C., nascono in tutta la regione numerosissimi centri urbani o protourbani, su insediamenti precedenti o, spesso, ex novo, posti su alture o terrazzi fluviali dalle ripide pendici. La maggioranza di essi erano difesi da cinte murarie, lunghe anche diversi chilometri. Il territorio rurale, invece, si presentava costellato da fattorie e piccoli villaggi che, adibiti allo sfruttamento delle risorse naturali e all’allevamento, avevano spesso le rispettive necropoli poste nei pressi delle strutture abitative.
La frequentazione umana delle colline arenacee su cui è ubicato il centro storico di Ferrandina prosegue fino all’età ellenistica (III sec. a.C.); lo si evince dagli innumerevoli ritrovamenti archeologici (Via Fanti, Via Lanzillotti, Via Fratelli Bandiera) avvenuti nel corso del secolo precedente. La maggior parte dei rinvenimenti sono relativi a gruppi di sepolture databili all’epoca lucana (metà V-III sec. a.C.); non si segnalano, per il momento, tracce archeologiche relative alla presenza di abitati. Probabilmente, ragionando per analogie e tenendo presente il sistema insediativo di epoca lucana, è ipotizzabile collocare l’eventuale abitato nel quartiere La Piana. Questa ipotesi, seppur suggestiva, si lega alla morfologia del luogo (un altopiano a circa 500 m d’altitudine s.l.m.), difeso naturalmente dai pendii scoscesi e a controllo di un areale vastissimo, e alla presenza di blocchi lapidei pseudoisodomi reimpiegati negli angoli della Chiesa di Santa Maria della Croce, ubicata a poca distanza dal quartiere. Tali blocchi sarebbero forse da riferire ad una cinta muraria di epoca lucana e, di conseguenza, alla presenza di un abitato (anche per via delle necropoli individuate nelle immediate vicinanze della Cittadella), sullo schema dei meglio documentati abitati fortificati (Monte Torretta di Pietragalla, Monte Croccia, Serra di Vaglio). Per adesso rimane un’ipotesi, seppur suggestiva, che potrà essere confermata da eventuali e futuri ritrovamenti. La fase lucana non è circoscritta solamente all’attuale città di Ferrandina; le indagini archeologiche condotte nelle zone circostanti, infatti, seppur molto parziali, hanno permesso di delineare un quadro storico-insediativo contraddistinto da un elevato numero di siti archeologici, a testimonianza di un territorio che doveva essere capillarmente abitato e intensamente sfruttato. Si pensi, ad esempio, al ritrovamento di un frantoio di IV secolo a.C. (afferente verosimilmente ad un più grande insediamento rurale) rinvenuto nell’oliveto secolare nei pressi della chiesetta rurale dedicata a Sant’Antonio Abate, al santuario italico in località Caporre, a tante altre contrade che hanno restituito materiale archeologico, per lo più a carattere funerario, (la Cretagna, Pizzocorvo, San Nicola, etc.) o alla città lucana fortificata sull’altopiano di San Giovanni. Il gran numero di siti archeologici in epoca lucana è sicuramente legato alla morfologia e alla posizione del territorio ferrandinese, ma è indubbiamente connesso anche alle importanti risorse naturali ivi presenti che hanno favorito da sempre l’insediamento umano. Tra queste la presenza di un bacino idrografico capillarmente diffuso; notevole, ancora adesso, è la presenza di sorgenti, di torrenti e ruscelli che confluiscono nel Basento e nel Cavone-Salandrella, che dovevano essere, a detta delle fonti antiche, navigabili almeno in parte del loro corso. Altre risorse erano rappresentate dai boschi, da cui si produceva la legna per la pece, per le attrezzature, per le armi e per edifici; inoltre erano luoghi in cui si procacciava la cacciagione e il foraggio per gli animali domestici; ancora, l’agricoltura e l’olivicoltura (testimoniata dal già citato rinvenimento di un frantoio oleario di IV sec. a.C.), e le cave d’argilla per la ceramica e i laterizi (cotti in alcune fornaci di epoca antica rinvenute nel territorio di Ferrandina).
Sull’altopiano di San Giovanni, ai limiti attuali del territorio amministrativo di Ferrandina, era ubicata una grande città lucana con un impianto urbano di tipo regolare (lotti di case distribuite su strade parallele e perpendicolari dalle misure costanti), frutto di un elaborato piano urbanistico. Lungo le pendici correva una cinta muraria, realizzata con blocchi lapidei squadrati e con un alzato in mattoni crudi, dotata di torri e di almeno un accesso monumentale. Tale struttura è simile alle ben conosciute cortine murarie di Torretta di Pietragalla, Monte Croccia, Pomarico Vecchio, ed è uno degli elementi intrinsechi non solo dell’abitato lucano, ma anche degli insediamenti peuceti e messapici. Lo scavo archeologico, seppur d’emergenza, e quindi rapido e parziale, di alcune strutture abitative di epoca lucana sul pianoro di San Giovanni, ha confermato che l’abbandono e la distruzione del centro è da ricondurre ad un evento traumatico: evidenti sono le tracce di bruciato sulle strutture e il ritrovamento, da parte degli archeologi, di un tesoretto di foglie d’oro, nascoste in statuette fittili, fa supporre che gli abitanti di una delle case non ebbero il tempo di recuperarlo, probabilmente perché costretti alla rapida fuga. Un’ ulteriore caratteristica tipica degli insediamenti osco-sannitici, è la vicina presenza di un santuario a carattere salutare, posto extra-moenia, legato al culto delle acque; nel caso dell’abitato di San Giovanni, esso era situato a poche centinaia di metri, in località Caporre. Qui, in seguito ad alcuni scavi di frodo bloccati dalle forze dell’ordine negli anni novanta del secolo scorso, gli archeologi della Soprintendenza hanno individuato i resti di strutture santuariali e depositi votivi contenenti preziose suppellettili come statuette di divinità, patere, armi ed elmi, che avevano attirato l’attenzione dei tombaroli.
Come si evince dai corredi tombali rinvenuti anche a Ferrandina, in cui spiccano cinturoni, corazze ed armi, o dalle raffigurazioni presenti sui vasi a figure rosse e nelle pitture funerarie, in cui si ripete frequentemente il tema del ritorno del guerriero, i Lucani erano un popolo devoto alla guerra. In epoca romana, come un po’ in tutta la Basilicata, si assiste ad una trasformazione del territorio e ad una drastica riduzione dei centri abitati a favore delle ville, le quali non sono state ancora rinvenute nell’areale di Ferrandina, ma di cui si suppone l’esistenza in base ai risultati dei survey archeologici e da collocare presso Coste dell’Abate, Piano d’Oro e Padula. Tra le cause principali che provocarono la forte concentrazione dei centri abitati vi sono, molto probabilmente, gli eventi storici e le guerre che interessarono il Meridione italiano e la Lucania antica tra l’inizio del III e i primi decenni del I secolo a.C., che videro tra i protagonisti le compagini osco-sabelliche (Lucani, Bretti, Peuceti, etc.), gli Italioti, i Romani e i Punici. Che la causa sia relativa ad un evento bellico per il momento non è del tutto confermabile, ma è possibile affermare che la maggior parte dei siti archeologici del territorio di Ferrandina, dal centro storico a San Nicola-Fonnoni-Zeppamonte, da La Cretagna a località Caporre, non ha restituito evidenze archeologiche che superino il II sec. a.C., periodo dell’aumento dell’egemonia romana nei territori del sud Italia. L’abitato di San Giovanni, come precedentemente accennato, si colloca tra i centri abitativi lucani (come Serra di Vaglio, Pomarico Vecchio, Monte Croccia) che vengono abbandonati in epoca ellenistica e non più abitati, se non in epoca medievale.
Ancora più scarne, se non totalmente assenti, sono le notizie e i rinvenimenti archeologici relativi al territorio di Ferrandina successivi all’età romana fino all’anno Mille. Dall’età tardo antica all’età normanna si registra attualmente, infatti, un notevole gap di attestazioni archeologiche e di fonti scritte.
I touchscreen della Sala I presentano le diverse popolazioni indigene della Basilicata e il territorio di Ferrandina; Nei touchscreen si presentano i caratteri insediativi generali di età lucana e i siti coevi del territorio di Ferrandina. Le vetrine espongono manufatti rinvenuti in necropoli lucane dal territorio. La III sala plus contiene il MAFE VR Experience ambientato nella città lucana sita sulla collina di Piana San Giovanni, tra Ferrandina e Salandra. Il visitatore, dotato di oculus e joystick, sale su una cronolfiera e viaggia nel tempo visitando l’antico insediamento e vivendo una storia.
III SALA
Il Castello di Uggiano e la fondazione di Ferrandina (Medioevo – Età moderna)
La prima notizia storica relativa al territorio di Ferrandina si data al 1029 ed è riportata dallo storico Lupo Protospata, il quale testimonia l’esistenza di un “castellum Obbianum”. Questo toponimo, riportato dalle successive fonti e dalla tradizione ottocentesca in varie forme (“Obelanum”, “Ogiano”, “Oblano”, etc.), è attestato in “Ruderi del Castello di Uggiano”, col quale ci si riferisce ai resti di un castrum ubicato a 4 km a nord-ovest di Ferrandina. Per anni, storici e studiosi locali hanno dibattuto su questo tema strettamente legato alla storia dell’origine della città e al mito che vede lo spostamento della popolazione del castello di Uggiano, colpito da un devastante terremoto, nella nuova città fondata da Federico d’Aragona.
A partire dall’XI secolo varie fonti riportano notizie ed eventi relativi al castello di Uggiano, un insediamento fortificato eretto in età normanna probabilmente sui resti di strutture precedenti. Le tassazioni focatiche tra il XII e il XIV secolo ci informano di una popolazione che oscillava tra le millecinquecento e le duemila anime, distribuite, stabilmente, lungo le pendici del castello e nelle varie contrade. Di questo feudo si conoscono diversi proprietari che si susseguirono tra l’età normanna e l’età aragonese; dalle fonti apprendiamo diversi episodi legati ai più importanti protagonisti di quei secoli come Roberto il Guiscardo, Pietro Belmonte, Carlo II d’Angiò, Pirro del Balzo e Federico d’Aragona. Un’epigrafe posta su un blocco all’ingresso del seggio ci informa di un restauro avvenuto in epoca angioina e apprendiamo indirettamente, da un inventario di un notaio aragonese databile al 1489, che almeno fino a quella data il castrum era ancora vivo e nelle sue piene funzioni. Uggiano venne abbandonato probabilmente tra la fine del 1400 e l’inizio del secolo successivo, e, a giudicare dai colpi di bombarda nelle murature esterne e di alcune fratture sui muri della sala verosimilmente causate dagli arieti, è ipotizzabile che subì anche un assedio, le cui tracce sono ben visibili sul sito e in alcune foto storiche su murature e torri adesso crollate.
Tale evento bellico si potrebbe inquadrare nell’ambito delle guerre per il Regno di Napoli tra gli Aragonesi e i Francesi che interessarono il Meridione tra gli ultimi anni del XV e i primi del XVI. Gli eventi bellici e il richiamo della nuova città fondata da Federico d’Aragona (benefici, esenzione parziale delle tasse, etc.) spinsero gli abitanti di Uggiano a spostarsi nella nuova città di Ferrandina.
Del tutto assenti sono le notizie storiche relative all’esistenza di un ipotetico insediamento medievale nell’attuale città di Ferrandina. Molto probabilmente, basandoci sulla presenza di reimpieghi architettonici di epoca medievale in alcuni palazzi signorili nel quartiere La Piana, sull’analisi della facciata esterna occidentale dell’attuale transetto della Chiesa di Santa Maria della Croce, il quale rivela un aspetto strutturale dell’edificio anteriore alla fine del XV secolo, è ipotizzabile la presenza di un nucleo insediativo precedente alla fondazione aragonese, di cui ignoriamo completamente il nome. La fondazione di Ferrandina da parte di Federico d’Aragona avvenne probabilmente dopo il 1487, anno della sua incoronazione con il titolo di Principe d’Altamura e del suo matrimonio con Isabella del Balzo, figlia del barone ribelle Pirro Del Balzo e proprietario del feudo di Uggiano. La prima menzione della città si data al 1491 e la si rintraccia in un documento in cui il Principe affida ad alcune maestranze la costruzione delle mura e della Chiesa Madre di Ferrandina. La nascita della città di Ferrandina rientra tra le fondazioni di epoca rinascimentale, tra le quali si ricordano Acaya (Lecce), fondata da Gian Giacomo dell’Acaya, Giulianova (Teramo) eretta da Giulio Antonio Acquaviva e Rocca di Mezzo (L’Aquila), fortemente voluta dal cardinale Amico Agnifili. La fondazione di Ferrandina da parte di Federico d’Aragona si lega ad esigenze primarie legate alla produzione agricola, al popolamento e alla difesa del territorio. La nuova città, rispetto ad Uggiano, posizionato più all’interno, si pone come un vero e proprio baluardo militare, in una posizione nettamente e strategicamente migliore, a controllo di due vallate fluviali e di un areale che arriva fino alla costa ionica lucana. Non si trattò di una fondazione ex novo, ma, probabilmente, della riqualificazione di un centro in parte già esistente. Probabilmente la nuova città nacque sull’attuale rione Piana, che diventò una vera e propria cittadella fortificata. Infatti, come si può notare ancora adesso, questo quartiere appare sopraelevato e circoscritto - si notano ancora alcuni tratti visibili delle mura, di una torre (poi inglobata dal monastero di Santa Chiara) - ed è caratterizzato da una geomorfologia che, per via delle ripide pendici, ben si presta alla difesa. Dalle foto storiche si può notare la presenza della cinta muraria e, fino a pochi decenni fa, l’attuale Via Bellocchio, la quale corre trasversale lungo l’intero rione Piana, era chiamata Via dei Merli, proprio per via delle merlature ancora visibili della linea di fortificazione. Oltre al già citato documento di affidamento dei lavori di costruzione delle mura, ci dà conferma dell’esistenza delle stesse, un’epigrafe exemplata nel 1606 ab antiquo lapide datata 1494, e attualmente murata sull’edificio che ospita il Comune.
Dalla sua lettura si evince che Ferrandina fu fondata nel 1494 da Federico d’Aragona, fu dedicata al padre Ferrante e fu cinta di mura e dotata di torri. La fondazione della città non fu circoscritta al rione Piana ma coinvolse il versante orientale e meridionale a ridosso di esso, ed è proprio in queste aree che si nota la presenza di una progettualità e di un’impostazione urbanistica architettonica all’avanguardia, frutto della cultura umanistica rinascimentale, basata a sua volta sullo studio dei modelli classici. Secondo schemi già confermati in Italia meridionale e per altre fondazioni rinascimentali, si andava affermando una struttura dell’insediamento per isolati rettangolari paralleli e allungati. Tale impostazione urbanistica, basata sugli studi rinascimentali dell’arte classica, richiama la ripresa della disposizione a strigas degli isolati allungati costruiti su un impianto urbano formato da strade regolari. Nel caso di Ferrandina tale approccio è ben evidente ma allo stesso tempo si differenzia da altri centri per via dell’orografia del territorio, ponendosi, quindi, non in pianura ma su un declivio fortemente digradante. I vari isolati della città di Federico sono formati da edifici posti a schiera e affacciati su vie a diverse quote, con il piano terra sulla strada inferiore e con il primo piano sulla strada superiore, con tetti a schiera a due falde, probabilmente basandosi su una concezione di città formulata da Fra’ Giocondo, di cui si conservano alcuni studi generali su tale impostazione teorica, la cui presenza è attestata alla corte aragonese di Napoli verso il 1489. Per adesso rimane un’ipotesi che potrebbe spiegare proprio il tramandarsi nella città di Federico della tipologia urbanistica delle case a schiera con i tetti a due falde. Legata alla fondazione della città è anche l’opera di approvvigionamento idrico realizzata in epoca aragonese, attraverso la costruzione di un lungo acquedotto confluente nella fontana di fosso Camarda. Di questa importante opera sono tuttora in vista alcuni pozzi, fortunatamente conservatisi, su uno dei quali è collocato lo stemma della Casa d’Aragona.
IV SALA
Ferrandina, millenaria “città dell’olio” e della majatica
Il territorio di Ferrandina da millenni si lega alla coltura e alla cultura dell’ulivo, l’albero sacro ad Atena. Dell’antica produzione olearia nel territorio sono testimoni il cosiddetto “Patriarca”, un albero di circa duemila anni i cui polloni sono stati piantati nel “Giardino dei Patriarchi dell’Unità d’Italia” della villa dei Quintili sull’Appia Antica, e i resti archeologici di un frantoio di epoca lucana (IV secolo a.C.) rinvenuto in località Sant’Antonio Abate. L’olivo coltivato sulle colline ferrandinesi rappresenta, da sempre, grande ricchezza e sostentamento per le popolazioni che qui si sono susseguite durante i secoli. Nell’antichità, diversamente da quanto si riscontra oggi, dalla coltura di questa pianta, si ricavava una serie di prodotti come l’olio per le lucerne e le fiaccole, la legna per il fuoco e la cenere per concimare terreni, saponi e unguenti. Attualmente nel territorio di Ferrandina si contano più di 200.000 piante, collocate su circa 2.000 ettari di terreno in coltura specializzata. Dalla coltura degli alberi di olivo vengono ora ricavati soprattutto l’olio extravergine, le olive da tavola, le famose olive nere al forno, i saponi per le mani e i ricercati liquori ricavati dall’infusione delle foglie, prodotti apprezzati ed esportati in Italia e all’estero. Un ruolo importante è ricoperto dalla cultivar majatica, una particolare varietà di oliva dall’origine remota, dalla quale si ricava un olio extravergine di elevata qualità e dal raffinato sapore. Questa varietà, che si ritrova maggiormente a Ferrandina e in alcune contrade di San Mauro, Salandra, Craco, presenta una resa elevata che può raggiungere anche il 30%, con una polpa che arriva all’85% in peso del frutto. Le foglie sono di forma lanceolata, di dimensione medio-grande e asimmetriche. Le drupe hanno forma ellissoidale-allungata, con pezzatura medio-grande e variabile anche nella stessa pianta d’albero d’olivo e, a maturazione, assumono colorazione nerastra.
Nel 2020 si è conclusa la procedura per il prestigioso riconoscimento IGP per l’Olio Lucano che comprende, tra le varietà di olive utilizzate per la produzione, anche la majatica di Ferrandina.
I touchscreen della IV sala contengono una ricostruzione del frantoio di età lucana rinvenuto in loc. Sant’Antonio e notizie sulla tradizione dell’olivicultura a Ferrandina; sono esposte le basi per la spremitura delle olive rinvenute nello stesso frantoio e i carporesti di olea Europea emersi nel corso degli scavi dell’UNIBAS/SSBA.